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14 marzo 2020|carestia

14 marzo 2020. Carestia

Si chiamava Abbondanza il paese destinato a morire. La sua parte settentrionale era ricca e prosperosa ma carente di affetti. La parte meridionale, al contrario, era ricca di umanità ma la carestia era sempre in agguato, come un gufo nel bosco. Il centro, che allungava le propaggini in alto e in basso a seconda delle convenienze, era confuso e immobile e paralizzava l’intero paese che, a vederlo da fuori, pareva un gatto, sorpreso di notte in mezzo alla strada, pronto per essere investito.

Nebbia

Paolo Perlini - Nebbia

 

 

10.02.2020 | nebbia

Ti era caduto l’occhio su di me e non sei stata l’unica.
Ti avevano avvertita, ti avevano messa in guardia, te lo avevano detto di non indugiare troppo nello sguardo.
Ma tu ti sei incaponita, hai fatto di testa tua e l’occhio ti è caduto, ha rotolato, è rimbalzato, ha giocato di sponda con il muretto del marciapiede, è salito sull’idrante rosso e mi è saltato addosso.
Girava, pulsava, in pochi minuti mi ha incantato e reso prigioniero, avvolto in una nuvola soffice ma penetrante come la nebbia di campagna.
E ora vuoi andartene?
Mi spiace, l’occhio me lo tengo, lo affetto con cura, come faccio con le cipolle e non verserò una lacrima.

Febbraio

05_febbraio501.02.2020 | Febbraio

Lui dormiva, aveva il respiro pesante, quello dei gatti quando stanno per morire. Lei si mise in piedi sopra di lui e impugnò la pistola con entrambe le mani perché così aveva visto fare. C’era solo un punto a cui mirare ed era quella ruga d’espressione in mezzo alla fronte. Chiuse gli occhi e sparò.
La prima a gridare fu lei e subito dopo la pistola le cadde dalle mani. Poi gridò lui, terrorizzato per l’esplosione e per quella cosa che gli era passata vicino all’orecchio.
“Ma che hai fatto, sei impazzita?”
“Ho sbagliato, volevo solo vedere come era fatta una pistola” si scusò.
“Volevi vedere? Mentre io dormo tu vuoi vedere come è fatta una pistola? E ti metti a cavalcioni sopra di me? Tu volevi ammazzarmi!”
“Hai ragione, volevo ammazzarti”.
“Perché? Dimmi perché?”
“Perché è febbraio, fuori fa freddo ma tu sei ancora più gelido. E io non voglio congelare. Avevo mirato alla ruga che hai in mezzo alla fronte ma devo essermi distratta”.
Lui si alzò, prese la pistola e gliela puntò contro.
“Io non mi faccio distrarre” disse.
Invece, quando la scollatura della vestaglia fece un sospiro, lui perse la testa e la pistola gli sfuggì dalla mano.
“Conosci altri modi per spianarmi la ruga?” le chiese.
“Forse sì”.
“Sono disposto a correre questo rischio”.

Ipocrisia e carbone

2. Ipocrisia e carbone

Il suo ultimo maestro di pianoforte – un russo che masticava spicchi d’aglio come se fossero caramelle – lo aveva ammonito:
“Prima o poi il tuo amore per la musica si affievolirà, ma se cerchi una donna, se decidi addirittura di spendere una vita intera con lei, scegli quella che il suo sguardo affonda dentro di te, quella che è capace di osservarti per cinque minuti senza mai staccare gli occhi. Ma soprattutto ascolta prima la voce di sua madre”.
“Sua madre, la madre di lei?”
“Sì, proprio lei. Se ha una voce grigia come il carbone lasciala perdere: è l’espressione di idee stagnanti e malsane, pregne di ipocrisia e menzogne. Danno frutti con il verme dentro e presto o tardi lo vedrai uscire. Scegli una voce blu, rarissima da trovare”.
“Perché?”
“Non si fanno riconoscere, parlano poco. Ma dai retta a me, se non ci riesci, cerca una voce giallo rossa graffiante, almeno ti divertirai”.

Quello che dicono le gambe

Quando venivo a prenderti, per poi accompagnarti a casa, potevo scegliere fra tre strade: la Liscia, la Gassata e la Ferrarelle.
La prima correva in pianura, attraversava i campi, si perdeva nelle nebbie e poi sfociava di nuovo nella civiltà.
La seconda imboccava la tangenziale ed era carica di furgoni, autotreni e alta velocità. Non mi piaceva molto perché richiedeva attenzione, verso lo specchietto retrovisore e sui pedali.
La terza saliva in collina e ti portava a respirare l’aria più pura.
Io ti prendevo proprio all’inizio della salita. Mi aspettavi con le gambe incrociate, a volte tutte due, a volte una sola. Con le gambe disegnavi lettere e parole, come un ballerino di tango e io, dalle figure che disegnavi capivo subito come la pensavi, come era andata la giornata, come mi avresti accolto.
Poi hai cominciato a stare zitta, con la voce e anche con le gambe. Mi attendevi seduta sulla panchina e io non capivo.
Poi non mi hai più aspettata.

panirlipe-gambe incrociate

 

Parole vecchie

Fra i tanti libri, quello a cui tengo di più è il dizionario di mia nonna Cornelia, un edizione del 1886 dalla copertina marrone e rigida, composto da 1350 pagine.
In esso ci sono alcuni definizioni spassose e altre che fanno lavorare anche le zone del cervello solitamente pigre.
Prendiamo ad esempio la definizione di tre:
“Che seguita immediatamente al due”.
Niente da dire, è corretto.
Prendiamo ora la definizione di quattro:
“Che contiene in sé due volte il due”.
E anche questo è corretto.
Ma la migliore è quella del sette:
“Che contiene il tre e il quattro”.
Per finire con il nove:
“Che sta tra l’otto e il dieci”.
Poi mi sono accorto che non c’è niente di eccezionale in queste definizioni. I dizionari moderni non sono poi così diversi.
Allora ho approfondito le mie ricerche su altri termini, come ad esempio, elettricità:
“fluido sperso nella natura e che dà luogo ad una moltitudine di fenomeni”.
Il calcio, oltre ad essere una pedata è un giuoco antico nella città di Firenze.
Lampada: vaso sul quale si tiene acceso un lume ad olio.
Telegrafo: macchina collocata in luogo elevato, per mezzo della quale facevansi certi segnali, che ripetuti da altre simili macchine, collocate a certa distanza le une dalle altre, servivano a trasmettere prestamente novelle od ordini a coloro che erano in grandissima lontananza.
Pistola: sorta d’arme corta da fuoco, così detta perché credesi inventata a Pistoia.
Comunismo: specie di socialismo più volgare e più sozzo, il cui scopo è la divisione dei beni fra tutti.
Camorra: società di malvagi nell’Italia meridionale che riscuote fraudolentamente una tassa illecita sui proventi altrui.
E poi è simpatico vedere come nell’arco di un secolo il significato di alcune parole sia mutato. Ad esempio, per gabinetto l’unica definizione è: meglio stanzino, cameretta da scrivere, studiare, ecc. armadietto, stipo per conservare cose preziose (!!!)
Mattonella: sponda del tavolo su cui si gioca a bigliardo- specie di confetto – indirettamente, incidentalmente.
Piastrella: ciascuno di quei piccoli sassi piani, che servono ai ragazzi per giuocare in vece delle pallottole.
Sapone: mistura composta comunemente d’olio, calcina o cenere che si adopera per lavare e purgare i panni e bagnar la barba prima di raderla. (quindi o non ci si lavava o si usava qualcos’altro).
Succursale: chiesa che serve in vece di parrocchia.
Non esiste la radio. L’aereo è qualcosa che appartiene all’aria o sta nell’aria ma nessun riferimento agli aeroplani. Tuttavia esiste il paracadute. Il dirigibile è un sostantivo femminile che significa: che può dirigersi.
Non esistono il rubinetto, il frigorifero, la tapparella.
Non esiste la bicicletta ma c’è il velocipede: macchina con due ruote che corre, solo che si tocchi colla punta de’ piedi un braccio di leva, che v’ha in essa, da chi la cavalca.
Non esistono alcune invenzioni che videro la luce proprio in quegli anni: la plastica, il telefono, il giradischi, il grammofono, il cinema, il grattacielo, la dinamite.
Ora sto iniziando a leggere tutte quelle parole che non si usano più, e sono molte, di una ricchezza che nessun’altra lingua può darci. Ve ne regalo due:
Squartanugoli: spaccamontagne, millantatore.
Straccagelosie: chi sta sempre alle gelosie delle finestre.

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