Sono in coda per salire alla stazione di mezzo, situata a circa duemila metri di altezza. Si sale uno alla volta, su seggiolini robusti ma che dimostrano la loro appartenenza al secolo scorso, forse addirittura a quello precedente, se le seggiovie erano state inventate.
Nell’attesa mi giro: dietro di me una ragazza sfoglia la guida e io sfoglio lei con gli occhi: stivaletti neri e robusti ma poco adatti a camminare in montagna; pantaloni aderenti, pratici e comodi; canotta nera, forse traspirante ma incapace di contenere tutto; viso ovale, un sorriso velato e costante, capelli neri e lunghi.
Distolgo subito lo sguardo. In pochi secondi temo di aver assimilato lo struggimento provato da Dante, Petrarca ma pure, nell’ordine, da Teseo, Menelao e Paride di fronte alla bellezza di Elena.
“È un peccato che questo tratto abbia seggiolini individuali” penso mentre passo il tornello. Mi siedo e comincio a salire, fingo di guardare il panorama alle mie spalle e intanto guardo lei che si siede e sale.
Arrivati nella stazione intermedia mi fermo a osservare la città e la vallata e lo stesso fa lei, fino a quando si incammina lungo il breve sentiero per raggiungere la stazione successiva e salire ancora più in alto, dove regnano le nuvole. Mi chiedo se le abbia qualcosa di pesante nella borsa che tiene a tracolla.
Mi porto dietro, mi affianco e le dico:
“Scusa, posso dirti una cosa?”
Lei sorride, forse già lo stava facendo e per dirla tutta sarebbe stato meglio se non l’avesse fatto. Ma ormai non potevo più tirarmi indietro.
“Sì, prego”.
“Non so perché lo faccio ma raggiunta una certa età è necessario tralasciare le paure e qualche volta agire d’istinto. E poi, se le parole restano dentro rischiano di prendere il posto del calcare e intaccare lo smalto dei denti”.
Lei mi guarda disorientata e capisco che mi devo affrettare: la stazione è vicina.
“Non l’ho mai fatto ma ora devo. Posso sembrare folle o dare l’impressione di importunare, ma non è così. Ed è per questo, che una volta detto, subito dopo mi allontanerò”.
Lei mi guarda divertita, in ansiosa attesa.
“Sì?”
“Sei bellissima. Quando ti ho vista laggiù, in attesa di partire, ho sentito il cuore perdere alcuni battiti e ne sono sicuro, non li recupero più. Mi sono venute le palpitazioni, ma quelle sono altra cosa. Ho provato un senso di vertigine e mi si sono appannati gli occhi, come quando per sbaglio osservi il sole senza riparo. All’improvviso ho perso la salivazione, forse pure la forza nelle gambe… per fortuna c’è un altro tratto di seggiovia. Ecco, tutto qui, ora ti lascio. Scusa per il disturbo”.
Siamo ormai davanti all’entrata, davanti a noi sfilano i seggiolini a quattro posti che portano in cima.
Questa volta è lei ad osservarmi, dai piedi fino alla testa. Alzo le mani, come per chiedere scusa se sono stato inopportuno, invece, con un cenno della testa indica la vetta e dice:
“Ti va di salire con me sulle nuvole?”
