“Con le scuole aperte, impossibile vedere metà delle partite. Così una generazione digitale perde tutti i riti dei Mondiali”.
Questo spiega Maurizio Crosetti su la Repubblica di sabato 19 novembre 2022.
“Noi si colorava con i pennarelli il tabellone dei Mondiali, si disegnavano gli stemmi della nazionali, eravamo piccoli come i piccoli di oggi e non avevamo un granché, a parte una tivù dove l’immagine ballava come le gemelle Kessler, però allo stesso tempo avevamo tutto: avevamo la Coppa del Mondo di Pelé, di Beckenbauer, di Gianni Rivera e poi di Zoff, di Scirea, di Spillo Altobelli. L’attesa del rito era il rito stesso, e noi tutti eravamo celebranti bambini per officiare il Grande Mondiale, la nostra grande bellezza”.
Il titolo mondiale più amato dagli italiani è senza dubbio quello del 1982 mentre la vittoria del 2006 pare caduta nel dimenticatoio. Le notti magiche del 1990 sono state solo un’illusione, invece USA 1994 rimane un incubo, per qualcuno.
Ma perché la Nazionale del 1982 è entrata nel cuore e nel ricordo di tanti? I motivi sono diversi. Negli anni Ottanta il calcio ancora non dilagava in televisione e le partite, sia di club che della Nazionale erano degli eventi rari. Inoltre, a quel tempo, i calciatori erano persone normali, alla buona, con uno stipendio adeguato ma non erano dei personaggi e neppure milionari. E infine, l’Italia dell ’82 ha incontrato squadre ben più temibili di quelle del 2006.
Ad ogni modo, per la seconda volta noi italiani ci perdiamo i mondiali e non nascondo che a mio parere, un po’ di disintossicazione calcistica, sui quotidiani e sulle reti TV ci farà solo che bene.
Già immagino come sarebbe andata: continui spot, titoli in prima pagina, interviste, retroscena e poi i soliti calcoli, “L’Italia passa se vince con un gol di scarto, il rigore era da annullare e bla bla bla”.
Non vedendo più i canali RAI e non seguendo quelli Mediaset, molti di questi tormenti li avrei evitati, ma non sarei riuscito a evitare quello degli amici, dei vicini, dei giornali e di internet.
Ma perché questo pippone calcistico da parte di uno che ha appeso le scarpette al chiodo all’età di undici anni?
Per pura autopromozione.
Anche Michele, protagonista di Sweet Jane, è un appassionato di calcio. Non lo pratica ma gli piace seguire le partite della Nazionale. L’11 ottobre del 1980 si tiene la prima partita di qualificazione ma lui se la perde. In cambio guadagna l’amicizia di Roberto. Uno scambio equo, ma in questa amicizia, con il garbo di Gaetano Scirea s’intromette Giovanna, la matrigna di Roberto, che comincia ad applicare su Michele un gioco a zona, talvolta marcature strette, addirittura falli.
Michele, grazie a Giovanna, la dolce Jane, come i ragazzi del 2022 si perderà tutto il Mondiale di calcio, anche la partita finale.
Parla di calcio? No, anche se il cammino della Nazionale è il filo conduttore del romanzo e vi sono molte metafore calcistiche. E quindi, di cosa parla? Di amicizia, seduzione, musica e amore. Pure di sesso, ma con il garbo che avrebbe avuto il solito Scirea.