Quando venivo a prenderti, per poi accompagnarti a casa, potevo scegliere fra tre strade: la Liscia, la Gassata e la Ferrarelle.
La prima correva in pianura, attraversava i campi, si perdeva nelle nebbie e poi sfociava di nuovo nella civiltà.
La seconda imboccava la tangenziale ed era carica di furgoni, autotreni e alta velocità. Non mi piaceva molto perché richiedeva attenzione, verso lo specchietto retrovisore e sui pedali.
La terza saliva in collina e ti portava a respirare l’aria più pura.
Io ti prendevo proprio all’inizio della salita. Mi aspettavi con le gambe incrociate, a volte tutte due, a volte una sola. Con le gambe disegnavi lettere e parole, come un ballerino di tango e io, dalle figure che disegnavi capivo subito come la pensavi, come era andata la giornata, come mi avresti accolto.
Poi hai cominciato a stare zitta, con la voce e anche con le gambe. Mi attendevi seduta sulla panchina e io non capivo.
Poi non mi hai più aspettata.
Eh sì, il corpo non mente. Forse poteva essere utile percorrere la Liscia, così, tanto per provare un avvicinamento diverso.
ormai è andata così 🙂
Leggere il corpo è intimità (a parte professione). La scomparsa di un corpo è un messaggio chiaro (è triste)
triste ma tutto finto
Che bello questo racconto, così vero.
così vero ma finto 🙂
Come tace il corpo nemmeno la voce…
bella questa, me la segno